Renato Nenci è nato e vive a Chiusi. Militare nel il 3° Reggimento Savoia Cavalleria, è un funzionario del Comune di Chiusi in quiescenza. Cavaliere al Merito della Repubblica e Commendatore dell'Ordo Militum Templi è giornalista, pubblicista e saggista. Come poeta ha esordito con una raccolta di poesie nel 1968, "Cento lacrime di Glicine" seguito da "Poesie scritte sottovoce" Ed. Orizzonti Letterari, Milano, 1975 e da "Il cinquantunesimo" nel 1978. Da giornalista, è direttore responsabile alcuni periodici a livello locale e nazionale e cura rubriche di arte e cultura in riviste specializzate. Capo Ufficio Stampa di Wealt Planet, cura le Pubbliche relazioni di alcune Associazioni. Appassionato di storia, in particolare medievale, ha studiato e studia la storia degli Ordini Monastici con particolare attenzione ai Templari. Ha pubblicato diversi scritti tra i quali "I Templari" nel 2004 Ed. Nuova MDM, "Processo Templare" nel 2006 Ed. Maprosti & Lisanti e "I Cavalieri del Tempio" nel 2008, Ed. Thesan e Thuran. Ha fondato il Lions Club Chiusi, di cui è stato il primo presidente, e il Club Valdiachiana I Chiari ed ha ricoperto incarichi distrettuali nel Lions Club International. E' membro di diritto del Capitolo Generale dell'Ordo Militum Templi di cui dirige e comanda la Magione Templare Francigena di Radicofani.

SENTIERI


A partire dai letterati romantici, passando per Nietzhe fino a Herzog e alla “beat generation” il camminare è metafora di conoscenza. Esiste un filone consistente della letteratura occidentale, per la quale il muoversi a piedi sa soli, costituisce un esercizio della mente più che del corpo, un’attività ricca di significati simbolici e magici in grado di stimolare la creatività. Ma già in questa letteratura appare chiaro un fatto: non si può compiere questo esercizio in un posto qualunque. Il prezzo pagato al progresso ha operato ovunque grandi distruzioni della natura, ha diffuso il degrado e alterato gli ecosistemi su vasta scala. Occorre viaggiare molto, nel nostro tempo, per poter trovare un luogo dove l’antica “wandern” possa esprimersi nella sua potenzialità rigenerante.  “Wandern” in lingua tedesca significa “filosofia dell’erranza”, tutto il contrario del movimento frenetico legato oggi in gran parte all’azione turistica. Il turismo, così come si manifesta da noi, è fondato su un ingorgo di informazioni gettate sul singolo in assenza di ogni sua ragionevole necessità.  E’ stato scritto invece che la riscoperta dell’erranza a piedi e dei movimenti esploratori sono “ingredienti essenziali affinché le informazioni raccolte dai vari sistemi sensoriali possano organizzarsi e fornire una rappresentazione biologicamente utile della realtà”. E per stimolare la creatività e la conoscenza viaggiando, occorre prima di tutto “pagare il prezzo del tempo, la moneta più rara e più cara di cui è in genere sprovvista la nostra vita sprofondata nella quotidiana, affannata comodità.
Uno di questi luoghi magici necessari alla manifestazione della “Wandern” l’abbiamo incontrato sulle pendici amiatine, nel territorio di Roccalbegna.
Questa borgata ci appare come scolpita nella roccia nuda, fra acque che scorrono ovunque appena percettibili scomparendo fra la vegetazione superba che l'assedia, è un emblema splendente di vitalità, di energia minerale e vegetale che trasmette voglia di dipartire e di muoversi. Emblema stupendo di questa energia vitale che respira ovunque, è un incredibile “Bambino” dipinto in un trittico nella chiesa parrocchiale da Ambrogio Lorenzetti. Bambino che si divincola in braccio ad una Madonna dolcissima, cui pare sfuggire di mano, stringendolo nella manina un mazzetto di ciliegie rosse. Un richiamo visibile – i frutti collocati al centro perfetto della tavola – ad una natura rigogliosa e benigna come un eden montano.
Bisogna partire da qui, per intraprendere un viaggio bellissimo al Bosco dei Rocconi, fino alla sua conclusione nelle viuzze di Rocchette di Fazio, un gioiello perduto e fortunatamente sconosciuto ai più nella valle dell’Albegna.
Ci si incammina per la strada che sale verso l’Amiata e si deve raggiungere il piccolo cimitero che si lascia di lato. Poco più avanti, sulla destra, parte il sentiero che inizia subito a scendere a precipizio verso il fondo di una piccola vallata. La segnaletica è buona e visibile e il tracciato è chiaro. Si passa il fosso e poi si risale, conquistando una posizione panoramica a mezza collina. Il paesaggio respira nella sua vastità a cui si avvinghiano sentieri candidi come ad un grande gomitolo. In un controluce argentato spuntano piano piano dalla macchia i “rocconi” sopra l’Albegna. Torri rocciose e austere che tagliano il verde come grandi lame, mentre il falco volteggia perenne. Sotto l’acqua lucida appena, ma risplende rapida e l’attimo giusto per farti capire come muoverti. Dopo Poggiosorbi e Casagrande, conviene ripiegare subito verso il basso, puntando sul fosso Calizzano. Nel tratto che va percorso lungo la sua riva destra per un po’ (fino al guado che guarda Rocchette) si resta sorpresi e stupiti dalla bellezza antica e selvaggia di questo corso d’acqua dove fra massi ciclopici e cascatelle giocano i tarullini. Qui la vegetazione cresce libera e rende difficile il passaggio nel sentiero che si distingue appena. e in paesaggio come questo che la “Wanderung” – l’erranza – vi cattura e andando piano piano nel silenzio, finite per non sentire più la sirena del ritorno e nemmeno quello della meta. Quelle che vi apparivano poco prima semplici interluoghi, ora divengono territorio del vostro spirito, spazio da navigare senza condizioni. In questa sperduta valle amiatina si può viaggiare per “stare” e per “arrivare”, si può decidere di perdersi o di seguire il sentiero, invariabilmente la voglia di scoprire e conoscere vi cresce dentro.
Oltrepassato il fosso si riprende subito a salire fra i castagni ed i faggi. Il sentiero è come scolpito nella roccia chiara e ai lati un muricciolo a secco pare proteggerlo appena. Fra i licheni spuntano mammole e crochi e nella penombra che il sole trapassa appena distingui subito i segni di un antico passaggio quasi lastricato che punta diritto sulla collina. E’ una mulattiera antica che vi guida ancora per poco. Fino a quando la strada battuta e carrabile vi si para davanti ampia e luminosa.
Proseguendo per questo viaggio simile ad una vera e propria teoria motrice della percezione, torna in mente la bella favola dell’abate settecentesco Etienne Bonnot. C’era una volta un dio che voleva aiutare una statua farsi un’idea giusta del mondo; fu così che le donò prima la vista e poi le altre facoltà sensoriali. Ma fu tutto vano, poiché il mondo restava per lei privo di senso. Ma quando il dio decise di concedere alla statua di camminare in mezzo alla natura, questa conquistò subito un quadro intelleggibile e perfetto del mondo. La conoscenza del mondo esterno e della natura non è possibile senza il calpestio lento e paziente del suo ambito poetico e confuso. Karl Baedeker, l’inventore della moderna “guida”, si richiamò sempre segretamente alle sue esperienze di “wander” compiute in luoghi come questo e solo così fu in grado di porre i fondamenti del moderno escursionismo a piedi. Robert Walser, autore del piccolo e prezioso racconto intitolato “La passeggiata”, racconta che nella solitaria camminata nei boschi era per lui possibile “imbattersi in giganti, avere l’onore di incontrare professori, visitare librai e funzionari di banca, discorrere coi cantanti ed attrici”. Senza la loro ingombrante presenza, naturalmente, come è possibile soltanto nei silenzi della “wanderung”.
Quando, salendo ancora, ci si avvicina a Rocchette di Fazio. Si arriva nell’antico castello dalla strada più bella, quella che vi conduce direttamente dove una volta, per la medesima strada che avete percorso, i viaggiatori puntavano immancabilmente e obbligatoriamente: il piccolo spedale trecentesco che vi attende ancora lì, appena fuori della mura per ristorarvi dopo la dura arrampicata. Su ancora, più in alto, si innalza il cassero; sotto nel grande vuoto che si apre, la foresta corre verso i “rocconi” e soltanto laggiù, dove le acque lucenti dell’Albegna vi si infrangono silenziose, il segreto della “ Wanderung” sembra sciogliersi. La fatica del camminare è un’altra metafora della conoscenza.

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